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Intervista a Fabio Bagnoli

Come nasce il progetto del vostro sestetto?

La nostra formazione nasce circa tre anni fa da una suggestione di Pietro Borgonovo, Direttore Artistico della GOG, riguardante un progetto legato alle Nazioni, ovvero la musica quando si declina nei vari territori. Si tratta di un progetto molto articolato. Sono stati due i concerti che abbiamo presentato in stagione a Palazzo Ducale, a Genova.
Successivamente a questi eventi, abbiamo deciso, assieme a Pietro Borgonovo, di prendere alcuni pezzi, inserirne altri - per esempio, il brano di Skalkottas è una "novità", e creare un programma in grado di seguire questa linea, ma anche di proseguire oltre.

Il programma che presentate per la stagione GOG è un omaggio al Secolo Breve, al Novecento. Come nasce, innanzitutto, il programma e cosa significa eseguire un simile repertorio per un gruppo di solisti come il vostro?

Sono capolavori tra i più significativi del "Secolo Breve": risulta pure interessante la scelta di alcuni autori, in particolar modo quella di Nikolaos Skalkottas, che quasi mai viene eseguito ma che, tuttavia, ha un valore assoluto.
Durante lo studio che ho svolto su Skalkottas ho individuato una frase di Schönberg. Quest'ultimo affermava che nella sua vita aveva avuto centinaia di allievi ma solo tre sono stati grandi compositori: due ve li potete immaginare, sono Anton Webern e Alban Berg, ma l'altro è Nikolaos Skalkottas.
Ci sono, quindi, autori totalmente misconosciuti, ma di una grandezza enorme.

Nel vostro programma spicca il Quintetto per oboe, clarinetto, violino, viola e contrabbasso di Sergej Prokof'ev, un brano di rarissima esecuzione. Che valore ha oggi l'esecuzione di un'opera come questa?

La parola giusta per definire il Quintetto per oboe, clarinetto, violino, viola e contrabbasso di Sergej Prokof'ev è proprio "inusuale". Difatti non esiste qualcosa di simile nella letteratura musicale e il Quintetto è anche di difficile programmazione poiché non c'è la possibilità di aggiungere altri pezzi o di trovare altro repertorio: ciononostante è un pezzo straordinario.
È un brano che in questo momento storico ha un suo significato: Prokof'ev afferma che aver scritto a Parigi il Quintetto è stato fondamentale. L'artista è stato veramente "permeato" dall'aria di Parigi, da quello che veniva realizzato in quel momento nella capitale francese.
Il Quintetto è un pezzo di difficile esecuzione che è basato sulla ritmica: una ritmica complessa, ma di grande liricità. Ci sono queste due "forze", la ritmica e la liricità, che creano un po' di contrasto, ma rendono il pezzo veramente interessante.

Voi siete sia componenti di orchestre che musicisti solisti e cameristi. Perché formare un sestetto di questo tipo, alla luce delle vostre singole esperienze professionali?

Il musicista, da qualunque esperienza arrivi, tende sempre a voler avere esperienza di musica da camera perché la musica, a mio parere - ma credo di interpretare anche il pensiero dei miei colleghi, è il momento più alto per uno strumentista. Ti confronti, innanzitutto, con la grande letteratura. Poi, c'è questo confronto diretto e "spasmodico" con gli altri strumenti. Inoltre, essendo sei, un numero esiguo, e, nella musica, si tratta ancora di un numero piccolo di persone, è possibile veramente confrontarsi: confrontarsi e cercare di fare le scelte migliori. È molto stimolante.

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